“Il costo della memoria” è un testo del giornalista e scrittore Paolo Miggiano, nel ventiduesimo anniversario della tragica morte dell’infermiera Geatenina Scotto di Perrotolo e dell’Ispettore della Polizia di Stato Antonio Raimondo, originario di Grazzanise. Un incidente avvenuto il 18 novembre del 1995 nell’isola di Procida. Due vittime del dovere che ancora chiedono giustizia.
Il testo in allegato è dunque un ricordo ma anche una denuncia di Paolo Miggiano, a quel tempo collega di Antonio Raimondo.
“Lo so, ne sono convinto, non è con le lapidi, i cippi, le commemorazioni, con le medaglie alle memorie o con i monumenti che si rende giustizia a chi muore. No, la giustizia è ben altra cosa. Con questi orpelli ci si lava solo la coscienza. A volte, però, neanche questo si riesce a fare.
Si chiamavano Nina e Antonio. Una era una giovanissima infermiera, figlia e sorella di pescatori di Procida. L’altro era un bel ragazzone, alto, con i baffetti e gli occhi vispi, simpatico. Aveva poco più di quaranta anni, sposato con due figli, ancora molto piccoli. Era nato a Grazzanise Antonio, a ridosso della pista di decollo dei jet supersonici. È guardandoli decollare e atterrare che Antonio decide di fare l’elicotterista della Polizia a Napoli.
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Antonio e Nina si incontrarono tardi, nell’ora della loro morte. Era il 18 novembre di ventidue anni fa. Il vento quella mattina soffiava forte. Le raffiche avevano una forza di più di cento chilometri all’ora. Era proibito navigare, era proibito volare. Qualcuno a Procida disse che un ragazzo era in pericolo di vita e doveva essere salvato. Non era vero, ma in molti ci avevano creduto. C’erano regole, divieti, ma c’era l’emergenza. Era proibito volare. Qualcuno si rifiutò, ma qualcun altro decise di farlo, di sfidare le forze della natura, sotto la propria responsabilità. Antonio dovette seguirlo, non spettava a lui decidere. La loro ultima aria, Antonio e Nina la respirarono su di un campo sportivo di Procida, dove l’elicottero, quando il pilota che era ai comandi ne perse il controllo, si ribaltò. Il loro sangue si mescolò all’acqua ed al fango del terreno di gioco, dove il vento soffiava ancora più forte.
Ad Antonio e Nina la giustizia è stata negata. Per le loro vite spezzate troppo presto, nessuno ha pagato, ma questo in Italia è accaduto abbastanza spesso e ce ne facciamo una ragione. Sono passati ventidue anni da quel terribile 18 novembre e oramai, fatta eccezione per i loro familiari, sono in pochi a ricordare la storia, l’avventura umana, il loro immolarsi per gli altri. A Procida questa tragedia è rimasta impressa nella memoria degli isolani e, grazie all’impegno di alcune persone che non hanno dimenticato, come le tenaci insegnanti della scuola Antonio Capraro e l’amministrazione comune. Qui, ogni anno, l’anziana madre di Nina saluta i ragazzi, al termine di un percorso di studio della storia di Antonio e Nina. Quest’anno, il 20 novembre, consegnerà un premio ai ragazzi vincitori del premio: “Omaggio a Gaetanina ed Antonio…per non dimenticare” sul tema ella sicurezza nei luoghi di lavoro. In fondo Antonio e Nina sono morti facendo il loro lavoro. Io sarò con loro, perché Antonio era un mio amico e Nina lo è diventata, solo dopo, purtroppo. Con me ci sarà anche Lucia di Mauro Montanino, una donna a cui la camorra, in una notte di agosto, le ha ammazzato il marito Gaetano, Guardia giurata.
Ma a Grazzanise, il paese dove Antonio era nato? Nulla! Intanto Roberta, la figlia di Antonio, che oggi lavora nella Polizia di Stato, è delusa. «È vergognoso ciò che accade nel paese dove è nato mio padre. È vergognoso perché non fu la mia famiglia a chiedere nulla al comune di Grazzanise, ma due anni fa furono loro a prometterci grandi cose per la memoria di mio padre. Poi, invece sono scomparsi nel nulla.»
Come dare torto a Roberta? Eppure l’attuale sindaco sapeva. Su sollecito di Roberta, la figlia ormai donna di Antonio l’ho chiamato, l’ho incontrato il 27 ottobre. Gli ho riferito che la targa che sembrerebbe intitolare ad Antonio una piazza nella cittadina dove è nato, con molta probabilità è solo una targa metallica e che dietro non c’è nessuna procedura formale. L’ho messo in guardia che quella targa, collocata lì in quella piazza da qualche suo predecessore, potrebbe essere solo una beffa, una malcelata occasione per buttare fumo negli occhi alla memoria. Gli propongo di verificare e di organizzare, in occasione dell’anniversario, una sobria commemorazione, in attesa di future iniziative di memoria che facessero conoscere anche ai giovani le straordinarie figure di Antonio e Nina. Ci siamo lasciati con l’impegno del sindaco del piccolo comune a ridosso dell’aeroporto militare che mi avrebbe richiamato il lunedì successivo per informare me e la famiglia di Antonio circa le iniziative che avrebbe potuto organizzare. Da quel giorno di lunedì ne sono passati diversi, ma la telefonata del sindaco non è mai arrivata. Evidentemente a Grazzanise la memoria non è proprio di casa. Ad Antonio e Nina sarà sufficiente essere ricordati dai ragazzi di Procida.
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Roberta mi fa sapere che delle scialbe aureole consolatrici di certi personaggi, la sua famiglia non ne ha bisogno. La memoria non scompare, non si cancella! «Mia madre, mio fratello ed io ricordiamo chi era Antonio Raimondo, sappiamo che uomo era nostro padre. Non ci servono le distratte o imposte occasioni di commemorazione a Grazzanise a farcelo ricordare. Le sceneggiate se le tenessero per loro, ma non ci piace essere presi in giro sul nome di nostro padre, che voglio ricordarlo è morto per gli altri, solo per glia altri.», così, con amarezza, conclude Roberta e noi con lei. Siamo con lei, perché il ricordo costa dolore e amarezza”.
di Paolo Miggiano