Corpi Nudi, a teatro un nome da scegliere e segreti da svelare

SAN LEUCIO (CASERTA) – Prendete cinque amici (di cui due coppie, con un fratello e sorella, trasversali, più un migliore amico), una madre insistente al telefono, una bottiglia di vino da 900€ ed un nome da decidere per un bambino che sta per nascere. Il risultato è Corpi Nudi, il nuovo spettacolo della compagnia Dietro la Maschera, per la regia di Gianluca Auriemma – liberamente ispirato alla pièce teatrale Le Prénom di Alexandre de La Patellière e Matthieu Delaporte da cui è stato tratto l’omonimo film (in italiano, Cena tra amici) ed un remake firmato Francesca Archibugi (Il nome del figlio) – andato in scena fino a ieri, e per ben otto repliche, all’Officina Teatro di San Leucio.

Ivan Graziano, Giulia Navarra, Marcello Gravina, Maddalena Serratore e Gianluca Auriemma sono le anime di uno spettacolo che fa riflettere e che, seppur tra lo scherzo e la terribile serietà, non manca di sorprendere e divertire, tra tratti più seri e momenti anche spiccatamente trash.

Tema fondamentale (curato con l’attinenza alla pièce originale piuttosto che agli adattamenti cinematografici) è il nome da dare al primo figlio in arrivo di una delle coppie di amici. Ne nasce un confronto, tra lo scherzo e la tremenda serietà, che parte dall’ideologia politica di ognuno dei protagonisti per, poi, giungere, attraverso le manie, alla rivelazione terribile dei segreti più intimi dei convitati.

Lo spettacolo è una lunga rivelazione, una lunga uscita dalla caverna – citando il mito di Platone, protagonista di un divertente momento della rappresentazione – in cui la scoperta è anche la caduta in basso, l’anabasi della liberazione del segreto intimo diviene la catabasi terribile nello scontro verso la convenzione sociale del non-dire (e del non-fare).

I personaggi si svelano, si scoprono, si mettono a nudo – riprendendo il titolo – avendo sullo sfondo una leggera persiana dietro la quale, con le lame di una luce sottile, più volte si vanno a nascondere protagonisti e segreti, lasciando trasparire solo i frammenti di un’ombra, confusi tra il sogno ed una trasparita umanità (anche se gli auspici di Pindaro restano poco rispettati).

La parola è padrona e maestra di uno spettacolo dal ritmo serratissimi, dal quali traspaiono le capacità di un gruppo di attori figli della grande palestra dell’Inda (Istituto Nazionale del Dramma Antico, con sede a Siracusa) che perdono qualche colpo solo in sparute situazioni ma che sostengono, senza freni, uno spettacolo bello, intenso, pieno di colpi di scena, il cui il racconto scorre senza perdersi in inutili astrattismi concettuali. Anzi, restando saldamente a terra, così fortemente da togliere il fiato.

La luce la fa da padrona. È il pennello con cui Auriemma colora i personaggi, cambia le scene, costruisce e smonta situazioni. Così, una piccola scena – quattro sedie, una tapparella, qualche piccola pedana – diventa uno e dieci ambienti, sempre uguali e sempre diversi, in cui tutti nuotano ma nessuno annega, tra i luoghi comuni, i patetismi e le serietà che concedono angoli di protagonismo ad ognuno dei personaggi.

La musica, scelta con cura e delicatezza, è un sottofondo sottile, una collezione di momenti da sottolineare e ricordare. Sempre presente ma, in fondo, ben poco incisiva (ma, diciamocelo… avrebbe dovuto esserlo? No).

La pièce è squisita, densa di quello humor francese in cui è la parola a farla da padrona (più che gli stereotipi) e credo che sarebbe stato molto complicato gustarla in un ambiente molto più grande così come si è gustata nella piccola Officina Teatro di San Leucio. Gli attori sono davvero bravi, tanto da colpire per la professionalità e la capacità di sostenere, seppur così giovani, uno spettacolo dai ritmi così alti. Bravissimi anche nella mimica: in scena non ci sono bicchieri, bottiglie, sigarette e neppure un telefono, ma tutti si rapportano con tali oggetti senza dimenticarsi mai dell’ultima posizione assunta. E, sono sincero, non è da tutti.

Il ritmo è, però, lo scoglio contro cui si vanno a frammentare i protagonisti. L’intensità della scena fa perdere le peculiarità, trasformando il discorso in un continuo attacco tra gli attori, senza concedere più particolarità ai protagonisti. I tuffi nei segreti (non aiutati da qualche siparietto che c’entra davvero poco) diventano momenti di pausa che non riescono ad andare al di là del luogo comune e risultano pesantemente sbiaditi rispetto ai caratteri, ormai persi nello scontro, dei personaggi al punto da riuscire anche a far riflettere, ma senza concedere nulla di più alla storia. Ne esce fuori il dramma dell’agone, ma non il dramma, seppur presente nelle storie.

In sintesi, lo spettacolo è bello, da vedere e rivedere e da premiare, per il coraggio ed il talento messo in scena. Un esperimento che premia gli attori ed il pubblico che ha scelto di vederli, che fa riflettere e fa andar via con quella dozzina di domande in più che dovrebbe lasciare ogni buon spettacolo. Una produzione da incoraggiare e premiare e chissà che qualche rassegna e qualche premio, lo spero davvero, non guardi a loro con lo stesso piacere con cui, umilmente, ho guardato anche io.

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