CASERTA – Venerdì 30 giugno, alle 16.30, presso la sala Convegni del complesso di Sant’Agostino, è stato presentato il libro Non parlare con la bocca piena, edito da Rizzoli.
L’autrice è una donna nova di questo settore – come ella stessa dirà – ma la sua prima uscita non l’ha intimidita e procede a passo sicuro, bussa alle porte di ogni città. Porta con sé solo il suo libro, la sua caparbietà e la sua simpatia fanno il resto. Viene subito riconosciuta, attrice, conduttrice, umorista di successo, ma ora vuole essere riconosciuta come scrittrice, Chiara Francini. Bussa senza aspettarsi nulla, leggera entra e si siede tra le pieghe del suo abito largo, risponde garbatamente alle mie domande. E di qui la nostra conversazione.
Poc’anzi Le è stato chiesto chi dovesse leggere un romanzo del genere e se i temi trattati siano adatti all’Italia di oggi. Ma non mi voglio soffermare su queste domande che si allontanano dal fulcro tematico e scadono in beghe inutili. Piuttosto, vorrei capire chi è Chiara, protagonista del libro, e chi è Chiara Francini.
Sono due donne novae, come tantissime altre presenti in Italia oggigiorno. Donne che hanno valori e tradizione, ma vanno pari passo coi tempi, se non più al galoppo coi tempi. Son donne forti, moderne, non si dicono mai bugie.
Come la protagonista si direbbe che anche la Chiara reale abbia fatto una serie di capitomboli all’indietro. Il personaggio Chiara è ritornata al nido caldo –come più volte dice nel libro- dai suoi genitori, una coppia omosessuale, dipinta senza infamia e senza gloria, per interrogare se stessa sulla vita che sta conducendo. La Chiara reale, invece, è partita da una laurea in lettere ed è ritornata alle origini scrivendo questo libro, non senza aver prima attraversato una carriera teatrale e cinematografica. Ma mi dica lei se questa mia lettura è stata attenta e precisa.
Le dirò; la mia intenzione era di descrivere un personaggio moderno, di conseguenza di scrivere un libro. Ho scritto 15 pagine piene piene e poi e sopraggiunta la fortuna: son piaciute! Vien da sé l’autoproiettarsi, e insieme con me tutte le mie esperienze, in questo romanzo. E forse ci sarà anche un film.
Di cui lei sarà protagonista, no?
Beh, sì, spero. [Risata, ndr]
Per parlare con fermezza di questo nido e di quanto sia bello ritornarvici, deve aver avuto un nido, una famiglia – in questo caso – arcobaleno. Mi vien da capire che per lei la famiglia, qualsiasi colore essa abbia, non ha un colore specifico. Da soli si può ricreare lo stesso tepore famigliare?
Ho avuto personalmente la fortuna di avere un nido, e grazie a questa mia fortuna ho potuto ricostruirlo nel romanzo. Ma non penso che da soli ci si possa costruire ex novo un nido.
Il tema dell’amicizia ritorna sempre nel libro. Con quali presupposti?
L’amicizia è un sentimento d’amore – secondo me – supremo, il collante forte per i nidi un po’ trascurati.
Mi piacerebbe parlare anche di questa apparente contraddizione della protagonista; mangia galatine, forse troppe, abitudine che proviene dall’infanzia e che dà senso al titolo – e per i nostri lettori la ragione sarà da ricercare direttamente nel libro – ed è al contempo dentista. Si cura da sola le carie?
[Risata, ndr] È proprio per questo motivo; è una sorta di autoindulgenza la sua.
La nostra conversazione non può non terminare con la domanda più importante. Come si pronuncia il cognome del tuo fidanzato svedese?
Niente, non sono riuscita a registrarlo. Sarà per la prossima.