SANTA MARIA CAPUA VETERE – L’estate richiama, per sua stessa definizione, l’occasione per una serata diversa – tanto culturale quanto sociale – un entertainment impegnato, che sollevi la platea e non dispiaccia per il gusto in scena.
Caldo venerdì di giugno. L’Anfiteatro Campano di Santa Maria Capua Vetere è la cornice ideale per unire la cultura ad una serata differente, che guardi al territorio ed all’impegno per la nostra Terra di Lavoro.
La Fondazione Mario Diana presenta il suo ultimo progetto, Prometeo, che aiuterà in un percorso di formazione e di introduzione al lavoro, trentacinque giovani studenti che, selezionati nell’ambito di un anno scolastico, godranno di importanti borse di studio.
La mission è davvero ammirevole e la Fondazione Diana non è da meno. Una realtà importante, non solo per Caserta, ma per un’area, un fazzoletto d’Italia che continua a fare sempre un po’ paura quando si cita.
Per il secondo anno consecutivo, la Fondazione presenta il suo ultimo progetto offrendo al pubblico uno spettacolo delicato. Nel giugno 2015 la scelta era ricaduta sulle Confessioni di Sant’Agostino. La location era lo splendido Belvedere di San Leucio. L’interprete era Alessandro Preziosi e lo è anche stavolta.
Millecinquecento persone invadono l’Anfiteatro per ascoltare Prometeo. Uno squisito excursus sulla figura mitologica del titano greco realizzato attraverso una finissima selezione di testi antichi e moderni – Eschilo, Simone Weil, Lord Byron, Goethe, Paolo di Tarso e, persino, la Genesi – ideata dallo stesso Preziosi e dal produttore Tommaso Mattei.
La scenografia è affidata all’imponenza delle mura dell’Anfiteatro, accarezzate da una luce plasmante che le scompone e ricompone in un caleidoscopio di docili frammenti al servizio del testo. La musica è eccezionale, esperimento elettronico di Paky Di Maio che accompagna, in una inedita armonia, la classicità di un testo forte, duro, senza mezzi termini.
Ma la serata ha un problema. Ed il problema si chiama Alessandro Preziosi. Lo scorso anno era riuscito ad incantare letteralmente il pubblico intorno ad un testo molto difficile. Stavolta il testo ha la sua innegabile intensità, la sua innata poesia ed epicità, la sua delicatezza, sofferenza e rabbia. Ma Preziosi no.
L’incanto della serata dura intorno ai dieci minuti. Superata, infatti, la prima tranche testuale, quello che si stende davanti è un Prometeo sempre uguale, inedito sofferente urlatore che appiattisce questo e quel testo, qualunque sia l’autore. Poco più di un’ora di spettacolo che non mettono in scena alcuno spessore, ma solo il patetismo di un personaggio che, per essere un dio, un titano si lamenta un po’ troppo e con una piatta, direi inutile insistenza.
Alessandro Preziosi è privo di ogni qualsivoglia forma di spessore, interprete scialbo di un copione che non possiamo pretendere di definire interpretazione solo perché letto a voce molto alta – sempre la stessa – e con pochi movimenti di braccia privi di un qualsivoglia significato scenico. E l’attenzione dell’attore cala, più volte, denunciandosi in un paio di errori di lettura – su tutti un dui amanti che parlavano tra di loro sottovuoce – sparsi qui e lì per il testo. Solo la Genesi mostra una qualche differenza, rispetto a tutto il resto ma, attenzione, non per l’interpretazione ma per la semplice necessità di una doppia voce che – c’è pur sempre un professionista sul palco – è fatta molto molto bene.
Il risultato finale è quello di un immenso «boh» (più grande dello stesso Anfiteatro) che delude, a voler essere sottile, ma che si ripaga per il fatto che la serata fosse gratuita. E dispiace, davvero, profondamente che il grande impegno messo in campo dalla Fondazione Diana per questa serata sia stato massacrato da uno spettacolo assolutamente non all’altezza della location e dei fini nobili di un progetto davvero importante.
Il pubblico è attento, ma solo perché sul palco c’è Preziosi, e solo fino ad un certo punto: si parlotta, ed anche abbastanza. Il medesimo spettacolo, diciamocelo con onestà, ben fatto ed interpretato da un’ottima compagnia di signori nessuno, avrebbe fatto un pubblico pari solo alle famiglie degli interpreti in scena. E, forse, nemmeno loro avrebbero resistito fino alla fine.