Dopo la pluripremiata opera Indivisibili, il regista partenopeo Edoardo De Angelis torna a stupire gli spettatori con Il vizio della speranza, il suo quinto film, presentato dallo stesso regista e dall’indimenticabile cast al Duel Village di Caserta, lo scorso giovedì 22 novembre.
Insignito del premio del pubblico BNL alla tredicesima edizione del Festival del Cinema di Roma, il nuovo film di De Angelis, oltre alla calorosa accoglienza del numeroso pubblico alla prima nazionale, riscuote fin da subito grande entusiasmo anche dalla critica.
Protagonista del lungometraggio è Maria, magistralmente interpretata da Pina Turco (Gomorra), giovane donna con un passato turbolento alle spalle, che lavora per una boss tossicomane che guida un losco giro d’affari di aborti clandestini, di prostitute nigeriane, i cui bambini subito dopo il parto vengono destinati a famiglie adottive, in cambio di soldi. Ma anche in questo mondo in cui alberga la miseria, in cui si percepisce un forte senso d’abbandono, che sconfina in una desolazione in cui è facile annegare e da cui sembra quasi impossibile potersi sottrarre, ad un tratto in Maria si insinua il germe della speranza, come un vizio; quello del coraggio ostinato di voler conquistare la rinascita, la vita. Maria, infatti, si accorge di essere miracolosamente incinta, nonostante, in seguito ad una violenza sessuale subita in tenera età, i medici le avessero dichiarato che sarebbe stato impossibile per lei diventare madre. Inizia, così, per la protagonista un percorso di cambiamento interiore, che la porta a chiedersi quanto effettivamente sia giusto quello che ha fatto finora, sopratutto quando decide di aiutare a fuggire una ragazza incinta che non vuole essere costretta a vendere suo figlio.
Si innescano una serie di meccanismi che portano la ragazza ad allontanarsi dalla madame, dalla sua casa e dalla sua famiglia, e il suo unico rifugio diventa l’ex giostraio Carlo Pengue, incarnato da Massimiliano Rossi, proprio colui che l’aveva salvata da bambina e che anche adesso, a distanza di anni, le sembra ancora l’unico essere umano che conosce.
Il vizio della speranza, frutto di un lavoro di circa due anni, come afferma lo stesso regista che non ama il termine “location”, è una storia non solo ambientata a Castel Volturno, bensì è una storia di Castel Volturno, in cui il paesaggio cupo si fonde con i sentimenti dei personaggi grigi che lo abitano. Per De Angelis è lo stesso luogo a suggerire determinate storie ed emozioni, perché diviene inesorabilmente esso stesso uno stato d’animo. A suggellare brillantemente la dimensione intrinseca ed estrinseca delle anime che si muovono in questa dimensione di forte realismo, perchè basata su eventi tristemente reali in questa terra, ma narrata quasi come fosse una fiaba, contribuisce la splendida fotografia di Ferran Parades Rubio.
A fare da sfondo a questa preghiera laica, è una bellissima colonna sonora scritta da Enzo Avitabile, in cui non esiste nessun tema principale, nessun elemento è preponderante rispetto all’altro e dove napoletano ed africano sembrano quasi intrecciarsi, anche grazie al brano Malaika di Miriam Makeba, scelto come una sorta di omaggio alla contante morta proprio a Castel Volturno nel mese di novembre di dieci anni fa. Il cast, oltre ai già citati Massimiliano Rossi e alla bravissima Pina Turco, nel ruolo della protagonista che le è valso anche vari riconoscimenti a Tokyo, è composto anche da Cristina Donadio (Gomorra) che interpreta splendidamente la madre della protagonista, Marina Confalone, la cosiddetta Zì Marì, pappona senza scrupoli e ancora Odette Gomis, Maria Angela Robustelli, Marcello Romolo, Imma Mauriello.
Con Il vizio della speranza De Angelis realizza il suo film più intimo, crudo affresco di uno spaccato di realtà feroce, che da un’ iniziale atmosfera di forte realismo, con l’incalzare del ritmo, sfocia quasi in una realtà fuori dal tempo, quella metaforica della natività, alimentata dal fuoco della speranza, che custodisce gelosamente e che è nascita. Una sceneggiature quella di De Angelis e Umberto Contarello che lascia ampio spazio alla riflessione, un’opera sicuramente da vedere e che non può lasciare indifferente lo spettatore.