NAPOLI – Isa Danieli e Lello Arena. Un letto. Il perimetro di un antico palazzo napoletano (più o meno, diciamo, suggestione di un antico palazzo napoletano). Tutt’intorno, onirica, la storia di Shakespeare, una tra le più amate, il Sogno di una notte di mezza estate. Ed, ancora, fate e folletti che si danno il cambio e si mescolano con i burattini. Sembra complicato e, in effetti, lo è. Ed è quanto sta andando in scena in questi giorni al Teatro San Ferdinando di Napoli (e fino al 21 febbraio), la riscrittura di Ruggero Cappuccio dell’opera di William Shakespeare, in cartellone per il Teatro Stabile di Napoli.
Riscrittura complicata, fin troppo articolata, fatta di storie sovrapposte che si raccontano e – seppur dalla voce di due ottimi maestri, come Isa Danieli e Lello Arena – non si vivono. Ottimi gli attori, perfetti in ogni mossa, e le musiche che, delicate e puntuali, sottolineano lo stile sognante dell’insolita atmosfera partenopea. Fabrizio Vona è un Puck atletico, saltimbanco e bardo che, nelle parole antiche della storia di Shakespeare, interpreta la magistrale parte del giocherellone e confusionario servo di Oberon. Renato De Simone, Enzo Mirone, Rossella Pugliese e Antonella Romano sono i folletti e burattini di un racconto – quello di Lisandro, Ermia, Demetrio ed Elena – che si intreccia più volte col sogno – quello vero, di Oberon e Titania – e quello messo in scena in parallelo, storia di pupi che raccontano sé stessi, prendendo anche le parti dei commedianti-attori impegnati nello spettacolo per le nozze del duca Teseo.
Il risultato è quello di un arzigogolo a metà, che cerca una nuova edizione della storia originale ma non sbroglia sé stesso, contribuendo a rimescolare una matassa da cui è difficile venirne a capo. La storia è appena seguibile e comprensibile per chi conosce la trama originale, ma assolutamente nascosta a quanti conoscano il Sogno solo per sentito dire ed ignorino l’argomento dei fin troppo lunghi racconti che avvengono tra gli attori in scena.
Uno spettacolo, tutto sommato, piacevole, che ruba una e più risate, di gusto, nel secondo atto e coccola e pubblico nella rappresentazione di una storia teneramente romantica per voce dei burattini-amanti creando un fonte contrasto con il primo atto, lento nel suo infinito dialogo a due tra Oberon e Titania.
Esperimento notevole, non c’è che dire, con scene e costumi davvero ammirabili. Esperimento, però, che non si fa notare, inseguitore di una nota stravagante che, più che rileggere la storia, si sforza di spostarla altrove tra inediti riferimenti e sovrabbondanti complicazioni.